La storia di una società, è risaputo, è fatta di alti e bassi. Ora che la Pallacanestro Reggiana si sta meritatamente godendo il momento più alto dei suoi 42 anni, possiamo anche permetterci di scherzare un po’ sul suo passato.

E allora, mettiamo per un attimo da parte i vari Rustichelli, Bouie, Morse, Bryant, Mitchell, Basile, Jent, Young, Kaukenas e Lavrinovic (su cui comunque, su queste pagine, avremo modo di tornare spesso e volentieri, fidatevi) e facciamo un salto nei meandri più bui della storia biancorossa.

Il nostro obiettivo è ricostruire un immaginifico quintetto (più qualche riserva) composto dai cinque più grandi “bidoni” mai passati per Reggio: personaggi quasi mistici, accompagnati da storie e aneddoti fantastici, che verranno probabilmente anch’essi ricordati per sempre, pur essendo entrati dalla parte sbagliata della storia.

Il pubblico di BaskeTime è molto fidelizzato e preparato: siamo sicuri che la maggior parte di voi almeno il nome della maggior parte dei nostri eroici bidoni se lo ricorderanno, ma magari verranno a conoscenza di qualche retroscena e dettaglio in più che a suo tempo non venne reso noto.

Bando alle ciance: cominciamo!

  • Il Michael Jordan dei “bidoni”

    Bassirou Niang (proprio lui!)
    Bassirou Niang (proprio lui!)

    Caliamo subito l’asso, il Michael Jordan dei bidoni biancorossi: oggetto di culto, protagonista di leggende metropolitane epiche. Non ci credete? Provate a chiedere ad un vostro amico, di età superiore ai 35 anni e grande tifoso della Pallacanestro Reggiana, chi considera il giocatore più scarso di sempre passato da queste parti e sono convinto che più della metà vi risponderà Bassirou Niang. Senegalese di passaporto francese, veniva descritto dai suoi più grandi conoscitori come lungo dal buon fisico, ma non troppo (…) attrezzato tecnicamente. Arriva a Reggio nel 2000-2001 dopo qualche sporadica apparizione nella serie A2 italiana dell’epoca: durerà 12 partite senza riuscire nemmeno ad arrivare al famigerato panettone. In realtà la pazienza dell’allora tecnico biancorosso Franco Marcelletti (pazienza che, se possiamo spezzare una lancia a favore del mitico Bassirou, era notoriamente poca) durò molto meno: nelle sue ultime sei gare in maglia Bipop-Carire, Niang giocò 9 minuti totali. Il ragazzo non faceva del basket la sua unica e vera ragione di vita e, senza far troppi giri di parole, quando han distribuito il talento lui si era probabilmente distratto un attimo. Il pubblico del PalaBigi poi, che notoriamente se non s’innamora a prima vista di un giocatore lo distrugge psicologicamente in due-e-due-quattro, lo aveva già battezzato dopo le prime palle perse, diciamo non troppo tatticamente oculate, dal post-basso. La leggenda vuole che, il 23 dicembre 2000, dopo un’inopinata sconfitta al PalaBarbuto di Napoli contro la Record di Randy Childress e Nikola Radulovic (e ennesimo NE per il nostro eroe), tornando in pullman di fretta verso Reggio con la speranza di arrivare in città il prima possibile per festeggiare  il Natale, Bassirou venne scaricato più o meno all’altezza di Roma, con tanto di valige al seguito. Una roba tipo: «Qui c’è l’aeroporto più vicino, ecco i soldi del taxi. Grazie e arrivederci». Fantastico. Il mito di Niang non finisce qua: si è vociferato per anni che, dopo l’esperienza reggiana, il senegalese avesse deciso di appendere le scarpe al chiodo e smetterla con il basket. A distanza di anni possiamo però smentirvi tutto: Niang è tornato in Francia e ha continuato a giocare, nelle minors (molto minors, ma molto molto..) transalpine, fino al 2005. Epico.

  • «L’unico lituano che non sa tirare»

    Aurimas Kieza
    Aurimas Kieza

    L’uomo sbagliato, nel momento sbagliato, al posto sbagliato. Contestualizziamo meglio: stagione 2009-2010, una versione low-cost della Pallacanestro Reggiana guidata da Alessandro Ramagli disputa quella che alla vigilia sarebbe dovuta essere una Legadue senza troppe ambizioni e, con un organico giovane e ben equilibrato, si ritrova in piena bagarre playoff. Quando ci si mette in mezzo la sfiga però, non puoi nulla. Jakub Kudlacek, talentino ceco che si stava ben comportando alle spalle di Robert Fultz, e soprattutto Nicolò Melli si fanno male proprio a pochi giorni dall’inizio della post-season. Bisogna sostituirli velocemente e, per intenderci, spendendo il meno possibile. Arrivano “El Lata” Ibarra in regia e il nostro uomo sotto canestro: Aurimas Kieza. «Ha fatto il college negli States, avrà un buon pedigree» dicevano i primi commenti su di un atleta che, avendo giocato solo a Hofstra University e in Lituania (e una breve, brevissima parentesi di due gare a Cipro), era sconosciuto a tutti. «E’ lituano, garanzia di classe e educazione cestistica» ci si convinceva a vicenda. A volte però, il primo impatto è quello che cambia la storia: è il 9 maggio, giorno del suo esordio al PalaBigi contro Vigevano. Kieza entra dalla panchina a fine primo quarto e dopo pochi istanti si procura un fallo che lo manda in lunetta con due tiri liberi. Ecco il momento che state aspettando. Il nostro tagliaboschi baltico lascia partire un sifone senza parabola, con una tecnica di tiro che in confronto Joakim Noah è un purista, che prende solo la retina…. nel senso che al ferro non ci arriva neanche. Primi mugugni. «Sarà l’emozione» bisbiglia qualcuno. Secondo tentativo, secondo air-ball. L’avventura di Aurimas Kieza a Reggio, di fatto, si è conclusa qui. Fin troppo facile prevedere i commenti: «Abbiamo preso l’unico lituano che non sa tirare», ma d’altronde a Reggio funziona così, ve lo abbiamo detto anche prima. La stagione si conclude presto, la Trenkwalder supera l’ostacolo Vigevano ma viene eliminata da Veroli in semifinale e Aurimas (che tra l’altro, in una delle due gare contro i ciociari, avrebbe pure fatto 11 punti) torna nella sua Lituania, che non abbandonerà mai più. E dove milita ancora! Ha 34 anni e ha rinnovato con il Suduva, in serie A2, dove nell’ultima stagione ha chiuso con 15 e 7 di media.

  • Il migliore di tutti… al ristorante

    Thalamus McGhee
    Thalamus McGhee

    L’indizio chiave in realtà lo avremmo potuto cogliere qualche anno prima, dalla sua stagione a Udine dove era idolo incontrastato delle folle. Al Carnera veniva infatti soprannominato “Carbonara McGhee“, per la sua abitudine di mangiarsi mezzo chilo di spaghetti alla carbonara al termine di ogni allenamento. Si si, avete letto bene: mezzo chilo. Stiamo parlando del grandissimo (in tutti i sensi) Thalamus McGhee, pivot di stazza (vabbè la smetto..) che arrivò a Reggio a stagione in corso nel novembre 2002. Partiamo dai risultati, decisamente scarsi, poi passiamo alla mitologia: 15 partite, 3,7 punti e 3.4 rimbalzi di media in 13′ di utilizzo. Secondo le guide dell’epoca il suo peso variava dai 105 ai 130 chilogrammi, ma a Reggio vi assicuriamo che siamo molto più vicini all’arrotondamento per eccesso. «Guardate che questo sa giocare a basket» diceva qualcuno. E gli era stato dato pure ragione quando, alla sua terza gara in biancorosso, segnò 15 punti contro Ferrara. C’erano però una serie di problemi, tutti riconducibili al peso forma: già l’arrivo a stagione in corso, senza aver fatto la preparazione, lo aveva portato a Reggio molto indietro di condizione. Poi, c’è bisogno che vi spieghi che la cucina emiliana non è il massimo per chi deve dimagrire? Il risultato è che Thalamus fece indubbiamente contenti i ristoratori di Reggio, dove si narra fosse incontenibile, mentre un po’ meno lo staff tecnico, che lo tagliò appunto dopo 6 sconfitte in fila. Troppo grande.

  • Domenico Iames

    La proposta di matrimonio di Dominic James
    La proposta di matrimonio di Dominic James

    Torniamo alle memorie più recenti, all’epoca dei social, dei video su Youtube, dei Tweet eccetera. Quindi, le prove sono tutte scritte e la leggenda, purtroppo, tende a svanire. Ciò nonostante, la storia di Dominic James a Reggio ha davvero del misterioso. Stagione 2012-2013: la Trenkwalder si trova senza un playmaker a settembre perchè il braccio di Dawan Robinson, frantumatosi in un incidente stradale a giugno, non dà certezze sui tempi di recupero. Un rampante Andrea Cinciarini scalpita, ma la società ha bisogno di affiancargli un pari-ruolo… così arriva DJ. Regista rapido, agile e soprattutto atletico, in grado di fare salti mostruosi e reduce da una stagione al Partizan Belgrado (non il Pizzighettone, quindi) dove da play titolare e leader carismatico aveva guidato la squadra alla vittoria in campionato. Il James che si presenta a Reggio però, ha poco a che vedere con quello visto in Serbia. Questa volta le condizioni fisiche non c’entrano niente: i suoi zompi Dominic li dispensa a destra e a manca (guardate QUI a 0:57, ad esempio), ma il suo rendimento continua ad essere latitante. Pian piano il “Cincia” lo schiaccia costringendolo a fare la riserva pura e Reggio deciderà di tagliarlo per far posto a una guardia come Troy Bell. E pensare che questa volta il pubblico reggiano lo aveva preso quasi in simpatia, come fosse una mascotte. Fino a ribattezzarlo Domenico Iames, come fece il nostro Mondo Vecchi in un clamoroso spezzone di BaskeTime (QUI il video). Tra i motivi del cattivo rendimento di James, della sua poca cattiveria agonistica e della sua testa che, a volte, sembrava da un’altra parte, c’è indubbiamente davanti a tutti la bellissima Angela. Ecco che, come accade per ognuno dei personaggi che vi stiamo raccontando, si entra nell’aspetto mistico (questa volta per davvero): la leggenda narra infatti che, nell’estate tra il Partizan e Reggio, il nostro Domenico, precedentemente focoso donnaiolo, abbia incontrato quella che è attualmente sua moglie. Angela, appunto, non solo gli ha fatto completamente perdere la testa, ma lo ha anche portato ad una sorta di redenzione spirituale – religiosa che, dopo il suo addio alla Trenkwalder, lo ha portato fino al cambiamento del cognome da James a Wright (in assonanza con “right”, cioè “giusto”). L’apice della sua avventura reggiana resterà però l’All Star Game di Biella: prima una clamorosa schiacciata in mezzo alle gambe, poi la proposta di matrimonio alla sua Angela (QUI, il celebre spezzone) davanti a tutto il pubblico attonito (tutti tranne Donell Taylor e Filippo Barozzi, unici a sapere della sorpresa).

  • Il grissino… che scappò

    Louis Orr (foto Wikipedia)
    Louis Orr (foto Wikipedia)

    Correva l’anno 1988: le Cantine Riunite di Piero Pasini decidono di affiancare all’ormai inossidabile Roosevelt Bouie un suo ex compagno di college, ormai 30enne, con otto anni di Nba “veri” alle spalle: Louis Orr, soprannominato “il grissino” per la sua magrezza. Orr non aveva mai giocato in Italia ma la società confidava che Bouie, suo caro amico, potesse fargli da “tutor” e abituarlo il prima possibile ad un campionato dove, nelle speranze del club, potesse fare la differenza. L’amore tra la pizza, gli spaghetti (o per meglio dire i tortelli e i cappelletti) e lo statunitense però non scoppiò mai: una vera e propria saudade che lo fece cadere in un tunnel che ebbe le sue ovvie ripercussioni sul parquet, dove Orr era irriconoscibile. La piazza lo contestava, Pasini stava perdendo la pazienza e già dopo cinque partite il grissino sembrava sull’orlo del taglio. Un taglio che però non arrivò mai, perchè Louis decise di uscire di scena con un coup de théâtre storico. Derby con la Fortitudo Bologna: Bouie, come al solito, passa a prendere Orr per andare insieme in via Guasco. Lo statunitense però a casa non c’è: sparito. Le cronache dell’epoca narrano che la sua Thema venne ritrovata il mattino seguente a Malpensa, svelando così il mistero: Orr aveva preso un volo per gli States tornando nella sua Cincinnati. Senza dire niente a nessuno, nemmeno all’amico fraterno Roosevelt. Non si era ambientato, stava male in Italia, voleva tornare a casa, dove aveva anche alcuni problemi personali da risolvere. La sua carriera sul parquet si concluse lì: la cosa curiosa invece è che poco dopo iniziò quella in panchina. Prima assistente, poi capo-allenatore in alcune università (Siena, Seton Hall e Bowling Green) fino al 2014. Senza mai, ovviamente, lasciare gli States.

  • Honorable Mention

    In questo viaggio tra diverse epoche e diversi bidoni biancorossi, ovviamente abbiamo dovuto fare cinque scelte, escludendo tanti altri papabili. Non ci siamo dimenticati però di Aleksander Milosserdov, il baby fenomeno arrivato 19enne a Reggio nell’affare Basile e rispedito al mittente dopo 9 partite. Di lui ci si ricorda solo un canestro allo scadere con cui sconfisse Verona. Oppure Coby Karl, figlio del grande George di cui ora sta prendendo la strada (da quest’anno allenerà in D-League). Poi, facendo un salto negli anni ’90, Danko CvjetićaninGeorgi Glouckhov. C’è anche chi non dimentica il canadese naturalizzato olandese Peter Van Elswyk (seppur giocò solo due partite a Reggio), oppure tornando ai tempi più recenti Troy Ostler Joel Salvi. 

Insomma, sono tanti i bidoni passati per Reggio, ma per fortuna sono altrettanti i giocatori che hanno lasciato un ricordo fantastico. Scegliere i migliori è difficile (ma lo faremo, ve lo promettiamo), ma a volte scegliere i peggiori lo è altrettanto. Dopo due finali scudetto consecutive però, permettetecelo, è quanto meno divertente.