Due stagioni a Reggio (con promozione in A1) e tante vittorie con Milano e Fortitudo. A 50 appena compiuti, non gioca più a basket. Ma fa l’agente di alcuni tra i giocatori più promettenti a livello internazionale

All’Isola del Giglio è più facile diventare giocatori di pallanuoto che non di basket. Ma se sei alto più di due metri, allora il campetto della scuola media diventa il primo vero termometro per capire se avrai un futuro sul parquet. Se ne accorsero gli allenatori dell’unica squadra locale di basket, la Libertas Argentario che, dopo averlo visto giocare nelle proprie squadre giovanili, vendettero un allora quindicenne Massimiliano Aldi alla Pallacanestro Livorno, trampolino di lancio per una carriera che lo ha visto vincere titoli (scudetto, Coppa Campioni, Coppa Intercontinentale) e indossare la maglia della Pallacanestro Reggiana nel 1995/96 (16.9 punti e 6.2 rimbalzi di media) e nel 1996/97 (9.2 punti e 3.2 rimbalzi), quando fu tra i protagonisti del ritorno in A1 dei biancorossi.

Aldi, è vero che con i soldi del suo cartellino costruirono il primo campo da basket all’Argentario?
Vero. Con i soldi della mia cessione al Livorno si gettarono le basi per l’impianto del Siluripedio. Ma non fu quella l’unica occasione in cui diventai “merce di scambio”. Quando il Livorno mi vendette all’Olimpia Milano con i soldi guadagnati ci costruirono una palestra.

Max Aldi durante la festa scudetto post Livorno-Milano

L’Olimpia Milano è un bell’inizio carriera. Con le scarpette rosse è salito sul tetto del mondo.
Quando giochi con gente del calibro di Meneghin, D’Antoni e Mc Adoo tutto è possibile. Ci togliemmo delle belle soddisfazioni.

Una di queste, per lei cresciuto nella Pallacanestro Livorno, fu vincere nel 1989 uno scudetto in casa della Libertas, l’altra squadra labronica. La partita del famoso canestro fuori tempo massimo di Forti e della scazzottata di Premier con i tifosi livornesi.
Fu una partita incredibile, giocata in un clima surreale. Il giorno prima alla Gazzetta dichiarai che non avevo paura dell’accoglienza dei tifosi, perché sapevo che mezza Livorno sarebbe stata dalla mia parte. In campo, a un certo punto vado in lunetta per tirare dei liberi, alzo la testa e vedo esposto lo striscione “Aldi, mezza Livorno è con te, l’altra mezza è con… tua madre!”. Non me la presi più di tanto, anzi ci risi su, e segnai i due liberi.

Nel suo palmares spicca la vittoria della Coppa dei Campioni.
Fu un’esperienza meravigliosa. Sì, forse rispetto all’Eurolega attuale, il livello era un tantino più basso. Ma certe partite sono indimenticabili. Come quando si andava a Salonicco a giocare contro l’Aris di Nicos Galis che battemmo in semifinale. Ricordo che c’era la nebbia in quel palasport, fumavano tutti i greci, pazzesco. Anche respirare era difficile.

Oggi Max Aldi è un procuratore…anche del neo biancorosso Mike Moser

Lei fu protagonista in finale a Gand “annullando” la stella del Maccabi Doron Jamchy. Uno dei tanti campioni affrontati. Chi è stato l’avversario più forte?
Guarda, ho giocato contro Galis, Yannakis, Kukoc, Divac. Ma il più forte di tutti per me è stato Danilovic. Tra i compagni di squadra dico invece Mike D’Antoni. Ancora oggi se devo scegliere una partita divertente da seguire, scelgo una squadra allenata da Mike.

A proposito di campioni di nome Mike, a Reggio la sua carriera si incrociò con quella di Mitchell.
Mike era un personaggio incredibile. Riguardo a quello che faceva sul campo non direi nulla di più di quello che già sapete. Se però chiudo gli occhi per un istante mi viene in mente una cena a casa sua per il Giorno del ringraziamento. Lui in persona cucinò il tacchino e poi ci costrinse a giocare ad una sorta di Enalotto americano che metteva in palio un montepremi folle come 200-300 milioni. In caso di vittoria, ci dicemmo, avremmo smesso di giocare. E infatti il giorno dopo eravamo tutti in palestra ad allenarci.

In quella squadra c’era anche un giovanissimo Gianluca Basile.
Me lo ricordo bene il Baso. Il talento ancora non si vedeva. Perché lui il talento se l’è costruito negli anni. Ricordo che aveva una specie di blocco psicologico nel tiro da tre. Con i piedi dentro l’arco di un centimetro segnava sempre, fuori dall’arco non la metteva mai. Beh, devo dire che negli anni successi quel blocco lo ha poi superato.

Aldi, in maglia n. 13, nella Pallacanestro Reggiana 1995/96

C’è una partita in particolare che ricorda dell’esperienza reggiana?
Più che una partita, un dopo partita. Eravamo rimasti negli spogliatoi solo io e Usberti, sempre gli ultimi a finire di lavarsi. Venne un terremoto e scappammo nudi fuori dagli spogliatoi. Già un terremoto fa paura di suo, ma vi assicuro che essere negli spogliatoi del PalaBigi, quando tira forte, è qualcosa di terrificante…

Ora lei vive a Bologna, dove un tempo la nominarono persino “sindaco”.
Vincemmo un campionato di A2 con la Fortitudo. La sera durante la festa in piazza Maggiore presi il megafono e feci il capopolo; non ricordo neppure le parole che pronunciai, ma da allora cominciarono a chiamarmi Sindaco.

A 50 anni non gioca più a basket, ma fa l’agente. Spezzi una lancia a favore della vostra categoria spesso bistrattata.
Io credo che la figura dell’agente sia importante non solo per i giocatori, ma anche per le società. In un ambiente dove c’è molta concorrenza, ma poca conoscenza, noi siamo una garanzia perché i giocatori li conosciamo e li seguiamo.

Talento, carattere, ambizioni: cosa la conquista in un giocatore?
Per prima cosa deve avere il fisico. Uno come me, per esempio, ora non giocherebbe. La fisicità è imprescindibile nel basket attuale. Poi ci vuole l’atteggiamento giusto, la voglia di emergere. Un altro aspetto che mi interessa sono i margini di miglioramento di un giocatore.

A Reggio vedremo uno dei giocatori seguiti dalla sua agenzia, Mike Moser.
Mike è un ragazzo d’oro. Gentilissimo e disponibile con tutti. Atleticamente è una bestia, un 4 moderno che attacca il ferro. Spero che Reggio sia il suo trampolino di lancio, se lo meriterebbe dopo tanta sfortuna. Trattatelo bene!

Gabriele Cantarelli