Con i suoi 2,20 metri è stato uno dei più alti giocatori nella storia della Pallacanestro Reggiana con cui ha giocato per un solo campionato, nel 1981-82, portando la squadra per la prima volta nel gotha del basket italiano. A 57 anni, ora Fuss vive e lavora a Bologna. E con il basket ha chiuso, per sempre.

Il 16 maggio di 35 anni fa la Pallacanestro Reggiana conquistava per la prima volta l’accesso alla serie A del basket. Merito di dieci eroi di biancorosso vestiti, tra cui primeggiavano Piero Montecchi, Orazio Rustichelli e Mario Ghiacci, sotto la sapiente guida di Gianni Zappi e Leo Ergelini.




Una squadra, le Cantine Riunite, dall’impronta decisamente emiliana con la ciliegina sulla torta di un “gigante” italo-brasiliano proveniente dal Friuli, Antonio Fuss, detto Tonino. Fu proprio questo pivot infinito di 2,20 metri (il secondo giocatore più alto nella storia della PR dopo il maltese Deguara) il migliore in campo in quell’indimenticabile spareggio promozione contro la Necchi Pavia sul campo di Udine che portò il basket reggiano per la prima volta in paradiso. Ora Antonio Fuss vive a Bologna dove fa l’imprenditore. Lo abbiamo incontrato per una chiacchierata partendo proprio da quel 16 maggio del 1982.

Fuss che ricordi ha di quel giorno?
Naturalmente un bel ricordo. Contro Pavia avevamo sempre perso e vincere lo spareggio fu una grande soddisfazione. Fui felice perché, dopo un anno tribolato, diedi finalmente il mio contributo sia come punti che rimbalzi. Anche se le stelle di quella squadra erano Montecchi e Rustichelli. Comunque di Reggio ricordo una società seria, una bella città e un pubblico sempre caldo e vicino alla squadra.

Perché parla di anno tribolato?
Perché fui perseguitato da problemi fisici. In particolare a un piede. Per colpa dell’infortunio non fui quasi mai in grado di dare il mio contributo alla squadra se non, appunto, nelle partite conclusive della stagione. D’altronde la mia carriera è sempre stata pregiudicata dai problemi fisici.

Che tipo di giocatore era?
Un giocatore di 2,20 metri. Bene a rimbalzo e stoppate, avevo un discreto tiretto e la passavo abbastanza bene. Certo non ero uno da 20 punti a partita, ma ero consapevole dei miei limiti e valorizzavo i punti di forza.




Lei è italiano, ma è nato in Brasile, giusto?
Fino a 15 anni ho vissuto in un piccolo paese alle porte di San Paolo. A scuola giocavo a calcio e pallavolo, ma data anche l’altezza cominciai a tirare a canestro. A 15 anni tornammo con mio padre in Italia, per la precisione a Feltre vicino a Belluno.

Fuss, al centro. Con lui anche Mario Ghiacci, Leo Melli, Leo Ergelini e Orazio Rustichelli, tra gli altri

Un brasiliano di 15 anni a Belluno: immagino la saudade…
Mah, il concetto di saudade non lo capisco. Chiunque prova nostalgia dell’infanzia, degli amici. Il tempo deforma i ricordi, ma credo sia un fenomeno naturale che non c’entri nulla col Brasile o l’essere brasiliano. Ci sono tornato pochi mesi fa in Brasile. A San Paolo vive mio fratello e ho ancora tanti amici.

La prima squadra fu la Snaidero Udine.
Esatto. Cominciai a giocare a basket proprio grazie alla passione di Rino Snaidero. Eravamo allenati da Mangano e da un giovane Ettore Messina.

Anche per lei Messina è il miglior allenatore italiano?
Con tutto il rispetto, ma non lo penso nel modo più assoluto. Sì, ok, un buon allenatore ma i più grandi coach sanno unire le doti tecnico-tattiche alle caratteristiche umane. Messina poi, se non sbaglio, ha sempre allenato squadre di buon livello, sarebbe interessante vederlo all’opera con roster meno importanti. E’ sicuramente un ragazzo intelligente, con una grande attitudine a comandare. Però per me i grandi allenatori sono altri, per citare quelli che ho conosciuto il brasiliano Claudio Mortari o l’americano Pete Newell. Ma se devo dire il nome del miglior allenatore italiano di sempre ne dico uno che in pochi conoscono: Sergio Curinga.

Dopo Udine e Reggio, arriva l’esperienza napoletana.
A Napoli ho vissuto gli anni migliori della mia carriera. Mi sono ambientato bene nonostante la distanza dal Triveneto dove avevo sempre vissuto. Ma per uno cresciuto a San Paolo, Napoli in confronto era un villaggio del Trentino….




E’ vero che girava per i vicoli napoletani a bordo di una 124 a cui era stato tolto il sedile anteriore?
Quella delle auto che guidavo senza sedili anteriori è una leggenda metropolitana…

Lei ora vive a Bologna, la Basket city per antonomasia. Segue ancora la palla a spicchi?
Se intende andare al palasport a vedere le partite, le rispondo di no. Non mi interessa. Non so neppure chi ha vinto l’ultimo scudetto. L’unico contatto che ho ancora con il basket è quando incontro al supermercato Icio Ragazzi e Pietro Generali, forse gli unici legami che ho ancora con quel mondo.

Come mai questa drastica decisione?
Non c’è un motivo particolare, semplicemente non sono interessato e non vedo il motivo per cui dovrei seguirlo o giocarlo ancora solo perché ci ho giocato in gioventù. L’unico sport che pratico è il nuoto.

Gabriele Cantarelli