Da vent’anni sulle panchine NBA come assistente, con anche qualche mese da Head Coach. Tony Brown però dimostra di essere affezionato a Reggio e di tenere vivi i contatti con essa…
Nel campionato NBA che inizierà tra circa un mese ci sarà anche un po’ di Reggio, nel senso di ex giocatori che hanno indossato la maglia biancorossa. Non sul parquet (CJ Watson è free agent dopo la separazione con gli Orlando Magic, ndr), ma in panchina. In particolare su quella dei Washington Wizards dove, al fianco di coach Scoot Brooks, nel ruolo di primo assistente, siederà un grande indimenticato ex giocatore della Pallacanestro Reggiana, Tony Brown, due stagioni memorabili dal 1992 al 1994 con la promozione in serie A conquistata al primo anno. Lo raggiungiamo proprio alla vigilia della pre-season che, per Washington, inizierà al Madison Square Garden contro i Knicks venerdì 7 ottobre.
Brown ormai è un allenatore NBA con anni di esperienza: se non sbaglio è il suo ventesimo anno.
Esatto, la mia prima esperienza fu nel 1997 come assistente a Portland. Da allora è passata tanta acqua sotto i ponti, ho fatto anche mezza stagione da head coach quando ero ai Nets. Con i Wizards mi trovo benissimo e non vediamo l’ora di cominciare. Ancora brucia la gara 7 persa contro Boston l’anno scorso in semifinale di conference. Quest’anno lavoriamo per fare uno step in avanti.
Capital City dista un’ora e mezza dalla sua Chicago. Pendolare o si è stabilito a Washington?
Sono troppo legato a Chicago per lasciarla. La mia residenza è sempre lì, città che amo nella quale sono nato e cresciuto. Ma per ragioni di comodità ho preso una casa anche a Bethesda dove ogni sera mi aspetta la mia adorata moglie sposata 23 anni fa e la mia cagnolina Tasha. Mia figlia invece vive ad Atlanta.

Nel nostro immaginario, la vita dell’Nba è molto intensa. Le rimane spazio per qualche hobby?
Tra giocatore e allenatore ho vissuto una trentina dei miei 57 anni in questo ambiente. Di tempo libero in effetti ne rimane poco e quello che ho lo riservo ai miei cari. A dire il vero sto ancora studiando, prima o poi la prenderò questa benedetta laurea! Amo la musica, soprattutto il jazz, ma anche reggae, hip hop e R&B. Ah, c’è anche un’altra passione che mi avete trasmesso voi reggiani: la cucina! Mi piace cucinare e bere buon vino, rigorosamente italiano.
Restiamo a Reggio, allora. Che ricordi ha dei due anni trascorsi nella nostra città?
Come si fa a non amare una città come Reggio. Ricordi bellissimi, sia sul campo che in città. Il primo anno sotto la guida del grande coach Virgino (Bernardi, ndr) conquistammo la promozione. Un’annata fantastica con un gruppo fantastico, tengo ancora tra le mie foto più care quella della festa dopo la vittoria promozione con un canestro decisivo, se non erro, di Usberti. A Reggio mi sentivo in famiglia, tutti erano carini con me: la società e i tifosi che non ho mai dimenticato.

Se per questo neanche noi abbiamo dimenticato lei Brown: se la ricorda quella partita mitica contro la Fortitudo?
Come no! Feci una delle mie poche schiacciate a 360gradi in carriera. E poi come dimenticare il tiro da tre di quel “pazzo” di Angelone Reale, con lui che a braccia distese mima l’aeroplano lungo tutto il parquet. Com’era quel coro dei tifosi? in nazionale, Reale in nazionale, in nazionale…
Visto che la memoria è buona insistiamo, cosa faceva a Reggio nel tempo libero?
Vivevo la città. Reggio non è stata la mia prima esperienza italiana visto che avevo giocato qualche partita ad Arese, vicino Milano. Il primo a farmi da “cicerone” fu Marco Lamperti. Ricordo locali con nomi come Club Novecento o Cafè Cocò, ma sicuramente non ci saranno più. A cena invece si andava rigorosamente da Fascione, non lontano dal Palasport. Lì c’era il mio amico Raffaele e sua mamma Pompea, che cuoca divina! Con Raffaele siamo rimasti in contatto.

E’ rimasto in contatto anche con qualcuno della squadra?
Certo. Angelone Reale ogni volta che viene da queste parti passa a salutarmi. A Las Vegas ogni estate incontro Max Menetti che a quanto mi dicono ha fatto davvero una grande carriera, bravo Max, se la merita tutta. Lui mi tiene aggiornato anche su altri giocatori come Boris Casoli, Cavazzon. E poi c’è facebook dove sono amico di Ricci, Avenia e Lamperti. Adesso che ci penso fu proprio Lamperti a portarmi da Fascione la prima volta…
E di Mike Mitchell che ricordi ha?
Mike era un grande. Uno dei migliori realizzatori di quel periodo, forse secondo soltanto ad Oscar Schmidt. Umanamente è stato molto paziente con me, lui parlava un italiano discreto e sapeva anche qualche parola in dialetto, così mi portava in giro per Reggio a farmi conoscere tutti i suoi amici. A casa sua c’era sempre un piatto pronto per me: lui e Diane mi hanno sempre trattato come uno della famiglia. Mi manca tanto. L’ho detto anche a suo figlio Mike Jr che ho incontrato di recente durante una partita giocata a San Antonio.
Che tipo di giocatore era Tony Brown?
Più difensore che attaccante. Ma sapevo fare un po’ di tutto e mi piaceva mettere i compagni nelle condizioni migliori. Un atteggiamento che credo mi sia servito per la seconda carriera, quella da coach. Non ho rimpianti, se non quello di non aver imparato l’italiano…
Ah, quindi non posso chiederle di concludere l’intervista con un saluto ai tifosi reggiani.
Un attimo che installo sul mio telefono Rosetta Stone (un’app per imparare le lingue straniere, ndr). Dammi un po’ di tempo e risentiamoci tra qualche mese. Prometto che imparerò almeno un bel saluto alla città e ai tifosi migliori del mondo. Nessuno mi ha trattato bene come avete fatto voi, Dio vi benedica!
Gabriele Cantarelli