Otto anni in biancorosso. Sono pochi i giocatori ad aver servito la Pallacanestro Reggiana più di David Londero. Play atipico (una “combo” si direbbe con il gergo cestistico contemporaneo), il friulano (nato però in Svizzera, a Bulach nel 1971) calcò via Guasco dal 1987 al 1995. Arrivato poco più che bambino (aveva 16 anni) si trasformò in uomo e atleta mettendo in luce un talento che gli valse una carriera importante successivamente anche in altre piazze (Verona, Siena, Fabriano). Per lui in biancorosso 181 presenze tra serie A1 e serie A2 con 1.604 punti (8.8 di media, ma ben 14.1 nella stagione 1994/95 in serie A1). Ora, a 47 anni, vive nella sua Gemona con la moglie Elisa Brumatti (figlia dell’indimenticato Pino) e i figli Stefano (15 anni) e Alessia (11). Di mestiere fa lo sviluppatore di software per il web, e da due anni ha ripreso a calcare i parquet come allenatore delle giovanili del Gemona Basket.


Londero, innanzitutto: si pronuncia Dàvid, Davìd o Devid?

Dàvid, con l’accento sulla a.

Nato in Svizzera, ma friulano doc.

Sì, i miei erano emigrati in Svizzera, ma a tre anni siamo tornati a casa, in quel di Gemona dove vivo tuttora.

David Londero con Graziano Cavazzon

Da bambino a ragazzo: a 16 anni ti ritrovi a Reggio.

Giovavo a Martignago, vicino a Verona. I dirigenti avevano contatti con la Pallacanestro Reggiana e organizzarono un provino cui partecipai insieme a tre compagni. Ricordo che venne Piero Pasini a visionarmi. Il suo giudizio fu decisivo. L’impatto con la vostra città fu bellissimo, mi sentivo al settimo cielo. Abitavo con Sassi, Bertelli e Casarini in una foresteria in via Medaglie d’oro della Resistenza, che era stata la casa di Bob Morse. Ora credo ci sia una banca…..

Com’era la Reggio di quegli anni?

Bellissima. Considero Reggio la mia seconda casa. Ho avuto modo di viverla e conoscerla. Ogni due anni cambiavo appartamento: via Galgana e via Monsignor Tondelli insieme a Cavazzon, infine via fratelli Tondelli dove feci gli ultimi due anni da solo.



Con Cavazzon formaste una coppia “di fatto” anche sul parquet.

Graziano è uno dei pochi giocatori con cui sono rimasto in contatto. Ci sentiamo ogni tanto su whattsap ricordando i vecchi tempi. Io di Udine, lui di Trieste, due città rivali da sempre: eppure andavamo d’accordissimo. Ricordo che coach Isaac ci veniva a prendere e ci portava a pranzo fuori. Caspita, Joe conosceva tutti i ristoranti di Reggio e provincia, ma era uno spasso a tavola..

La festa promozione 1992/93

In otto anni di giocatori al tuo fianco ne hai avuti tanti: chi ricordi particolarmente?

Difficile rispondere facendo pochi nomi. Ovviamente Mike Mitchell e il suo carisma sono indimenticabili. Vi svelo un aneddoto. Dovete sapere che io non ero molto alla moda, vestivo spesso in maniera “strasandata”. Tornai dai Mondiali militari in Cina aggregandomi alla squadra che si trovava in trasferta a Cantù. Non ricordo il mio look, ma di sicuro non era impeccabile. A fine gara, Mike si avvicinò a me con la sua voce calma e pacata e mi disse: “Ragazzo, quest’anno qui ci sono io. E in trasferta tu, vestito così, non ci vieni mai più, ok?”. Ovviamente risposi “Ok, Mike!”. Lui ci teneva al look, era sempre impeccabile. Qualche mese dopo mi presentai ad una partita in via Guasco vestito in doppiopetto che neanche al mio matrimonio. Ridevano tutti. Mike si alzò e mi disse: “Good, bravo David!”. Era straordinario. Sempre pacato, tranquillo, non l’ho mai visto agitato e nervoso. In allenamento e in partita ti veniva vicino e all’orecchio ti spiegava e incoraggiava. Davvero un grande”.

E i compagni di reparto in cabina di regia?

Beh, Ciga Giumbini lo chiamavo “maestro”. Un punto di riferimento nei miei primi anni reggiani. E poi Marco Lamperti, grande talento e grande coraggio: ancora mi chiedo come un giocatore così non abbia mai vestito la maglia della nazionale. Per me è inconcepibile. Marco era veramente forte. Uno dei pochi play che schiacciavano a quei tempi.

Anche Londero se non ricordo male si attaccava al ferro volentieri.

Sì, avevo un fisico che me lo consentiva e almeno una schiacciata a stagione me la concedevo. Ho giocato con atleti pazzeschi come Wes Matthews e Ryan Lorthridge, la “cavalletta umana”: lui era impressionante. Un altro atleta fortissimo con cui ho giocato è stato Darnell Valentine. A Reggio non ne avete un gran ricordo, ma vi assicuro che era un fenomeno per velocità e atletismo.



Eri un play atipico: più attaccante che regista.

Vero. Mi piaceva attaccare, non lo nascondo. Ho ancora ben presente un episodio che definirei eloquente in proposito. Stava scadendo il cronometro dei 24 e mi presi una penetrazione facendo un bel canestro in sottomano. Nell’angolo solo solissimo c’era Danko Cveticanin, un giocatore mortifero da tre punti, ma io pur vedendolo non l’ho servito preferendo attaccare il ferro. Ricordo ancora la faccia di Danko: se avesse potuto strangolarmi lo avrebbe fatto. Per non parlare di coach Markoski in panchina…

Sei soddisfatto della tua carriera?

Sì, sono contento. Ero un grande lavoratore, sarei stato tutto il giorno in palestra ad allenarmi. Ho solo un piccolo rimpianto: se tornassi indietro avrei fatto qualche anno in più nelle giovanili crescendo a livello di leadership. Invece io a Reggio mi ritrovai in prima squadra a 16 anni. E non credo sia stato un bene per la mia crescita.

Un’immagine odierna di David Londero

Un ricordo bello e uno brutto dei tuoi otto anni con la Pallacanestro Reggiana.

Facile. Il bello è sicuramente una partita contro la Fortitudo l’anno della promozione in A1 con Bernardi in panchina, quella del famoso canestro da 3 di Angelone (Reale, ndr). Li abbiamo schiacciati (finì 116-85). Io giocai una grande partita e feci 26 punti in un palasport caldissimo. Il ricordo brutto invece risale alla stagione 1994/95: una partita in casa contro Reggio Calabria persa all’ultimo secondo. Ci fu una rimessa a tempo quasi scaduto sul risultato di parità. Io dovevo marcare Alessandro Fantozzi, un ex col dente avvelenato. Lo persi di vista e lui segnò il canestro decisivo.

Nel 1995 le strade di Londero e Reggio si dividono: fu una tua scelta?

Sono sincero. Io sarei rimasto a Reggio tutta la vita. Ma a volte bisogna cambiare. Ebbi un’offerta da Verona che cercava il sostituto di Davide Bonora. Per me era l’occasione di restare in serie A1, visto che con Reggio eravamo retrocessi. Per la società una buona opportunità economica. Ci separammo di comune accordo.



Nel 2010 hai appeso le scarpe al chiodo lasciando il mondo del basket.

Per fortuna mentre ero a Verona ho cominciato ad appassionarmi al web frequentando corsi di Autocad. Dopodichè mi sono iscritto e laureato in Ingegneria informatica all’Università di Modena. Una passione, quella per l’informatica, che è andata aumentando fino a diventare il mio lavoro attuale. Al basket sono tornato da due anni su invito del Gemona: alleno tre squadre delle giovanili. Non pensavo mi piacesse così tanto, e sono felice di essere tornato in palestra. Anche i miei due figli giocano a basket.

Non posso non chiederti un pensiero su Pino Brumatti.

Mi manca tantissimo. Più che suocero e genero, eravamo amici. Ricordo la prima volta che andai “a moroso” a casa di Elisa. Ero timidissimo e non volevo farmi vedere dai suoi genitori. Pino mi prese di forza e mi obbligò a fermarmi a cena con loro: “Tu stasera mangi qui con noi”, mi disse. Parlavamo pochissimo di basket, giusto qualche partita vista insieme alla tv. Era un grande.

Torni mai a Reggio?

Avendo parenti a Codemondo, ci torno almeno due o tre volte all’anno. Quest’anno ho trascorso il capodanno nel ristorante di Ciga, persona che rivedo sempre molto volentieri.

Un saluto ai lettori di Basketime?

Vi saluto tutti! E vi do appuntamento al palasport. Prima o poi capiterà che riesca e venire a vedere qualche partita. La Pallacanestro Reggiana è sempre nel mio cuore.

Gabriele Cantarelli

Ecco qualche immagine di David Londero