Fu protagonista della storica semifinale Scudetto nel 1998 e della promozione in A1 con Frates. Ora, a 43 anni, Damiao è tornato nel natio Brasile dove fa il talent scout per promettenti calciatori e cestisti brasiliani e dove guida un’associazione da lui stesso fondata per strappare bambini e ragazzi dalle strade delle favelas.
E’ stato l’unico brasiliano nella lunga storia della Pallacanestro Reggiana. Marcelo Dilglay Damiao ha lasciato in città un bellissimo ricordo. Sia dal punto di vista umano, grazie alla travolgente simpatia e disponiblità, ma anche sportivo visto che, tra le sue tre esperienze in via Guasco (1997-98, 1999-00, 2003-05) spiccano una storica semifinale Scudetto (1998) e una promozione in serie A1 (2004). Centro di stazza (2,06 per 110 kg circa), Damiao ha chiuso la carriera nelle “minors” (Latina e Scauri) dopo aver giocato una quindicina di campionati in serie A (oltre a Reggio, con Fortitudo, Varese, Cantù). Per lui anche 83 presenze in nazionale. A 43 anni, Marcelo è tornato nella natia Campinas dove vive con la moglie Sheila.
Marcelo, hai vissuto tre esperienze in maglia biancorossa. Ma la più straordinaria resta quella del 1997-98 con la clamorosa conquista della semifinale scudetto.
Guarda, quella fu davvero una situazione incredibile e bellissima. Non ti nascondo che ho anche qualche rimpianto, in particolare quel canestro in terzo tempo di Davolio poco dopo la sirena a Bologna in gara 3. Avremmo vinto, riportato la serie a Reggio e recuperato un certo Mike Mitchell.
Già, in quella squadra il talento non mancava: penso a Mitchell, ma anche a Basile.
Il Baso è un ragazzo straordinario. Io lo chiamavo scherzosamente “terrone”, ridevamo e stavamo tanto tempo insieme, anche in nazionale. Lui aveva sì talento, ma soprattutto aveva le “palle” per smentire tutti quelli che a inizio carriera non gli davano fiducia. Dado Lombardi fu decisivo per la sua carriera spostandolo a fare il play.
E del “Professore” cosa mi dici?
Il “Professore” è stato il miglior insegnante che io potessi avere, sia dentro che fuori dal campo. Ricordo che dopo una partita contro Roma, un lunedì mattina mi invitò fuori con lui a pranzo. Andammo al Piedigrotta, furono due ore che cambiarono il mio modo di giocare e di vivere. Mi fece capire che potevo essere utile alla squadra anche in modo silenzioso e invisibile. Che prendere uno sfondamento spesso può essere più utile che segnare 30 punti.
Proprio contro la Fortitudo quell’anno segnasti 32 punti con 11 rimbalzi: fu la miglior partita della tua carriera?
Diciamo che fu una delle migliori, ma non la migliore. Sinceramente credo di aver giocato partite più solide con Fortitudo e Varese, anche in Eurolega. Ricordo una vittoria a Bologna con Varese dove segnai 19 punti. In quel caso furono 19 punti utili alla vittoria. Proprio come mi insegnò Mitchell.
E’ vero che hai giocato anche contro Magic Johnson?
Ah sì. Era il 1995, Magic era venuto a Bologna per un tour con la sua associazione di lotta all’Aids. La sera prima della partita, lo vidi in un ristorante a Bologna e gli chiesi l’autografo. Lui mi rispose: “Se domani mi farai divertire, ti darò anche la mia maglietta”. Il giorno dopo in campo, contro una squadra di all-stars tra cui anche Spriggs, Alexis e Aguirre, io segnai 25 punti. E Magic mi regalò la sua maglia.
Sei stato anche grande protagonista in Nazionale conquistando l’oro europeo nel 1999.
Quello era un gruppo eccezionale di cui va dato tutto il merito a Boscia (Tanjevic, ndr). C’erano dei campioni assoluti come Myers, Meneghin, Fucka che vinse il premio di miglior giocatore. Eppure vincemmo grazie alla difesa. Non c’erano prime donne, eravamo una famiglia. Con molti di loro eravamo partiti dalle giovanili vincendo un argento ai Giochi del Mediterraneo.
Nazionale che oggi sembra diventata quasi un optional per alcuni campioni.
No, non dirmi così. Voglio sperare che la maglia azzurra sia ancora importante per tutti i giocatori italiani. Nel mio caso dico sempre che non sono stato io a scegliere la nazionale azzurra, ma l’Italia a scegliere me. In Brasile ai miei tempi (e non è che adesso sia cambiato) c’era interesse solo per il calcio, così ho optato per una nazionale che invece sul basket ci puntava. E ho fatto bene.
Tu però sei un grande appassionato di calcio. Per quale squadra tifi?
Sono un milanista sfegatato. Lo sono da ancor prima che venissi in Italia. Qui in Brasile da piccolo vedevo il Milan in tv e me ne innamorai. L’altra squadra del cuore è il San Paolo.
Con la tua professione di talent scout ti occupi anche di calcio, c’è qualche campioncino in arrivo dalla terra di Pelè?
Sì, ce ne sono alcuni di 15-16 anni davvero promettenti. Io li seguo cercando di facilitare tutti i discorsi burocratici legati a cittadinanza, trasferimenti in Europa, appuntamenti per provini con le migliori squadre. Lo scorso anno ne ho proposto uno al Bologna che secondo me farà molta strada. Ma alla fine non se ne fece nulla. Ed ora lui gioca nell’Internacional Porto Alegre.
Tra un mese in Brasile si andrà a votare: com’è la situazione del Paese?
Drammatica. Guarda, il Brasile che tutti voi avete visto in occasione dei Mondiali di calcio e delle Olimpiadi non è il vero Brasile. Quelli furono eventi fatti “ad hoc” per il resto del mondo. Ti faccio un esempio: da noi uno stipendio medio si aggira sui 120 euro al mese. Bene, il biglietto per andare a vedere le partite del Brasile costava almeno 180-200 euro. Quelle di ottobre saranno elezioni difficili. Chiunque vincerà, dovrà fare i conti con una crisi e un’inflazione pazzesca.
Crisi che si ripercuote anche nel mondo sportivo.
Gli ultimi Governi hanno di fatto distrutto il Ministero dello Sport. Ci sono sport come il karate, il judo, lo stesso volley che hanno fatto la storia conquistando medaglie alle Olimpiadi e che ora non ricevono quasi più fondi. E’ un errore, perché qui in Brasile da sempre lo sport è stato occasione di riscatto sociale.
Tu con la tua associazione, “Basquete Iapi”, non resti certo a guardare. Parlaci di questo progetto?
Una volta finita la carriera, e tornato in Brasile, ho pensato fosse giusto restituire in parte ciò che lo sport aveva donato a me. Da qui l’idea di fondare un’associazione dando la possibilità a bambini e ragazzi che provengono da realtà di droga e povertà di poter vedere una “via d’uscita” nella loro vita. Togliamo ragazzi dalla strada e diamo loro una speranza. Attualmente sono 53 i bambini-ragazzi che seguiamo.
Complimenti Marcelo. E grazie di tutto. Hai un saluto da fare ai reggiani?
Vi porto nel mio cuore. Non solo gli amici con cui sono tuttora in contatto, ma anche tutti i tifosi. Il prossimo anno tornerò in Italia, e spero proprio di riuscire a fare un salto a Reggio. Fammi fare un saluto particolare al mio amico Alberto Dallari: il cestista che gioca “più sporco” in tutto il mondo. Lui, e Boscagin. E al grande Max Menetti, un amico e un allenatore fortissimo che merita la Nazionale. Grazie Reggio!
Gabriele Cantarelli