di Diego Oneda

Seduto in panchina, a Milano, faceva tenerezza.

E i reggiani, che sanno essere cattivi se si sentono traditi, quelle panchine le commentavano tutte.
– Cincia farà la doccia dopo la partita?
– Bello prendere tanti soldi per non far niente, eh Cinciarini…

Giocatore finito, delusione, mercenario… Tra gli epiteti più benevoli.

Poi ci fu Rimini 2017, la maglia dell’Armani, il canestro e il gesto delle “big balls” mimato all’indirizzo del pubblico reggiano.
Quella che lo aveva adottato, amato, coccolato e portato in palmo di mano fino a un passo dalla vittoria dello scudetto.
Capitano, protagonista, leader di una delle favole più belle dello sport reggiano degli ultimi anni.
Lui, ovviamente, Andrea Cinciarini.
Quel gesto qualcuno non glielo ha ancora perdonato.

Il basket è uno sport bellissimo ma fatto di amori occasionali, tendenzialmente da una botta e via.
Se poi proprio ci siamo divertiti, ci si può rivedere altre due o tre volte ma non di più.

Non esistono (più) delle vere e proprie bandiere e i tifosi si sono abituati a fremere e esultare per idoli ogni volta diversi. Poco importa se sono di Gavassa o di Cecina, della Roncina o del Kentucky, di Vilnius o di Nairobi.
Se indossi la casacca biancorossa hai la mia attenzione, se fai canestro hai il mio plauso, se ti sbucci le ginocchia e sputi sangue hai anche le chiavi della mia macchina.

Andrea, che chiamo così pur non conoscendolo di persona, aveva tutto ma solo a Reggio ha visto il suo talento, la sua abnegazione, la sua naturale vocazione al lavoro tramutarsi in vittorie, in fotoni giganti sui giornali, in titoli a caratteri cubitali, in una sorta di idolatria reggiana.
Non mistica, sostanziale, sanguigna, sfacciata, vera.

E quella regola, quella dell’amore occasionale, con Cincia l’avevamo tutti un po’ dimenticata.

Perché a noi lui, che viene da quel lembo di terra che unisce la Romagna alle Marche, piaceva parecchio.
Bravo ragazzo, educato.
Con una bella capacità di leggere il gioco.
Con un cuore grande, il carattere e l’agonismo.
Ci si innamora per molto meno, diciamolo.

E se un vero figlio di Reggio, Nicolò Melli, ci era già stato strappato, pensavamo di averne trovato un altro. Adottivo ma perfetto.

L’addio fu doloroso ma quali addii non lo sono?
Un giorno prima stai per vincere uno scudetto miracoloso, il giorno dopo il capitano saluta e se ne va.
Ti senti solo, stanco, svuotato ma hai un’estate davanti e finisce che non ci pensi più.

L’anno successivo tra l’altro si torna in finale, quasi a sorpresa. Contro Milano, la nuova squadra di Cincia.
Lui è al timone dei meneghini, noi perdiamo in modo prevedibile, ma a testa altissima, contro una corazzata.
Andrea festeggia a Reggio il suo primo scudetto. Ma a Milano è uno dei tanti.

Passa un’altra estate e un inverno. E’ il 2017, la Supercoppa a Rimini, quello stupido gesto che non ci voleva.
Perché? Che senso ha vomitare il tuo rancore sulle persone che ti hanno voluto bene?

C’è anche quell’episodio nel ritorno di Andrea Cinciarini a Reggio. Dopo sei estati da quell’afoso giugno 2015.
E’ il 2021, la Pallacanestro Reggiana si sta ricostruendo nel post Landi.
L’anno precendente è arrivata una salvezza faticosa, alcune cose non sono andate.
La squadra è affidata a coach Caja e il Ds Barozzi cerca un leader tecnico e di spogliatoio.

– Andrea, torneresti a Reggio?
– Stai scherzando Filippo?
– No
– Parliamone

Era maggio. Due mesi dopo una cena a Imola, la firma sul contratto. Andrea è tornato.

I reggiani sono un po’ storditi, non se l’aspettano.
Con la tipica diffidenza dell’amante ferito, non si brilla in cortesia:

– E’ vecchio
– E’ venuto a svernare
– Si vede che a Milano gli han voluto dare un calcio in c…

Lui si presenta umile, fisicamente a posto.
Una conferenza stampa in cui il ‘non detto’ è tantissimo, è negli occhi.
Andrea s’è perso, come cantava De André, ma è tornato. E non per svernare.

Il resto è storia recente, una storia di sport che forse val la pena di raccontare.
Andrea Cinciarini sta per chiudere la miglior stagione della sua carriera, a 36 anni ha trascinato la Pallacanestro Reggiana ad una finale europea e ad un playoff quasi imprevedibile alla vigilia.

Ogni tanto, in giro per Reggio, qualcuno gli ricorda ancora quel gesto. Perché l’amante tradito perdona ma non dimentica.
Ma per lo più sono caffé in compagnia, pacche sulla spalla, chiacchiere, complimenti, selfie e abbracci.

Questa storia, Andrea certamente lo sa, meritava questo finale.